Cinque atti teatrali sull’opera d’arte

Teatro Studio Krypton
OA – Cinque atti teatrali sull’opera d’arte
Primo atto: La parola
con l’opera di Alfredo Pirri
29, 30, 31 gennaio 2012 ore 21

Prende il via domenica 29 gennaio alle ore 21.00 in prima nazionale al Teatro Studio di Scandicci, con repliche lunedì 30 e martedì 31, il progetto OA – cinque atti teatrali sull’opera d’arte, che si snoderà fino a maggio. Si intitola OA – La parola con l’opera di Alfredo Pirri il primo atto che è costruito intorno all’installazione Gas dell’artista romano, composta da sette elementi bianco glaciati di legno e gesso che invadono totalmente la scena teatrale.

In OA – La parola con l’opera di Alfredo Pirri le platee centrali del Teatro vengono abitate da sette performer, affiancati da Giancarlo Cauteruccio che dà voce alla poesia di Paul Celan, mentre le platee laterali diventano i luoghi del dialogo tra Adorno e Celan, voci off di Fulvio Cauteruccio e Annibale Pavone.
ideazione e regia Giancarlo Cauteruccio
voce live Giancarlo Cauteruccio
voci off Fulvio Cauteruccio e Annibale Pavone
e con Irene Barbugli, Giulia Broggi, Donatella Marranini,
Giovanni Mascherini, Giuseppe Mazza, Marco Pucci, Riccardo Storai
costumi Massimo Bevilacqua
luci Giancarlo Cauteruccio e Loris Giancola
musiche da Arnold Schönberg
– consulenza al progetto Pietro Gaglianò

“Con OA – cinque atti teatrali sull’opera d’arte continua il mio fluttuare dentro i linguaggi, le mie interrogazioni sui conflitti che riguardano la parola, la poesia, il teatro, l’arte.
Nel Primo atto, l’opera di Alfredo Pirri incontra “la parola”, l’elemento fondamentale del teatro, per disvelare un nuovo possibile viaggio percettivo nei territori dell’arte.
Il carteggio tra Theodor W. Adorno e Paul Celan, in cui la parola assume una potenza assoluta, scrive un teatro del silenzio e dell’inazione, evocando l’atrocità della storia.
Il filosofo e il poeta non hanno più corpo fisico, sono voce pura emessa da altoparlanti d’epoca che fanno riemergere il ricordo incancellabile dell’Olocausto.
La parola poetica diventa vento, respiro, si desertifica insinuandosi tra gli elementi dell’installazione di Pirri, posta al centro del teatro in tutta la sua tragicità.
Pagine dodecafoniche da Schönberg alimentano quest’opera teatrale fatta di percezione e di ascolto.
E’ proprio il conflitto tra la parola poetica e la sua negazione che trova nel mio disegno la sua originaria forma dialettica, che scaturisce dall’opera e la investe di una nuova interpretazione.
Una scelta estrema che scardina le regole del teatro  e la condizione dello spettatore, ma che io sento necessaria nella crisi della narrazione contemporanea.
Mi interessano nuove possibilità di relazione percettiva”. Giancarlo Cauteruccio

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere. È la proposizione con cui Ludwig Wittgenstein chiude il Tractatus logico-philosophicus nel 1922. E potrebbe anche essere la traccia lungo la quale si svolge nel secondo dopoguerra la contrapposizione (a distanza) tra Paul Celan e Theodor Adorno a proposito dell’opportunità, e della possibilità, di ‘scrivere poesia dopo Auschwitz’. È un conflitto tra poesia e principio filosofico, tra l’esperienza diretta del dolore (Celan, ebreo rumeno, perse entrambi i genitori nei lager nazisti) e la sua scomposizione in un sistema di pensiero.
Alla dichiarazione di Adorno sulla irriducibile inconciliabilità tra barbarie e cultura, il poeta oppone una serena e al tempo stesso lancinante consapevolezza della necessità di testimoniare attraverso la parola e la poesia: autentica e ultima forma di resistenza di fronte all’annientamento di ogni condizione umana.
L’opera di Alfredo Pirri, GAS, è una dichiarazione aperta, e ancora alla ricerca di completamento, sulle ragioni dell’arte, sulla funzione della pittura, sulla crisi culturale di alcune forme di espressione che hanno reagito all’irrigidimento dei linguaggi con il rigetto della mimesi e della rappresentazione. Il profilo dei sette elementi che occupano lo spazio evoca il ricordo drammatico dei campi di concentramento, ma costituisce prima di tutto una riflessione sul colore. Contenuto nelle strutture orizzontali (allo stesso tempo imprigionato e irradiato dalla loro interazione con la luce), il colore si riflette amplificandosi nello spazio, la sua origine materiale si esprime in forma incorporea: compie una ascensione, alludendo alla volontà e alla capacità dell’arte (qui nello specifico delle arti visive) di persistere nella sua alterità, e in questo modo di riuscire a essere una rappresentazione critica del mondo, trasversale rispetto alla storia, e sempre pienamente legittima”.  Pietro Gaglianò

PROGETTO OA – cinque atti teatrali sull’opera d’arte
“OA” è un’opera teatrale che Giancarlo Cauteruccio ha pensato in cinque atti che si svolgono in una successione temporale dilatata, a intervalli di un mese l’uno dall’altro. È un progetto sulle lingue del teatro e su alcune forme fondamentali dell’azione scenica: parola, danza, musica, luce e canto. Viaggiando paralleli e combinandosi in azioni diverse questi cinque elementi trovano la propria definizione nella misura del corpo fisico (dell’attore, del cantante, del danzatore), ed emergeranno, atto per atto, come linguaggi privilegiati di cui verranno indagate le possibili estensioni. Per compiere questo viaggio “OA” sperimenta una inedita forma di messa in scena, non più fondata su una drammaturgia letteraria ma scaturita dal confronto con l’opera d’arte che diviene volano dell’azione teatrale. Cinque artisti contemporanei vengono chiamati a misurarsi in un confronto che supera l’esperienza già largamente sperimentata della scenografia d’artista, e si incentra sul senso profondo del teatro. Viene così dato spazio a quella sensibilità per il teatro, che non a caso è stato definito “opera d’arte totale”, che risiede nella visione di ogni artista.   “OA”, acronimo che contiene l’Opera e l’Azione, elementi portanti di questa indagine, cerca luoghi di contatto e di conflitto con cinque opere d’arte per raccontare la storia del corpo in tutte le sue possibilità. Gli attori che attraversano i cinque atti dello spettacolo prestano i propri corpi in tutte le declinazioni della loro fisicità, dalla muta e quasi immota presenza al gesto danzato, declinando una nuova forma di sentimento, nei confronti del luogo e dell’energia teatrale.
Il secondo atto (23, 24, 25 febbraio) si  struttura intorno all’opera di Enrico Castellani “Il muro del tempo”. I sette  metronomi caricati alle sette velocità della loro scala esaltano e negano il tempo, esprimendo l’incapacità dell’uomo di raccoglierlo, di descriverlo, di misurarlo. Qui il corpo si esprime in un movimento senza ritmo, in una condizione di astrazione totale dove non trova strumenti che lo guidino o lo organizzino. Il danzatore con la sua azione genera la scrittura nel tentativo di misurare l’impossibilità, in uno sforzo continuo sul limite della possibilità.
Il terzo atto (24, 25, 26 marzo) si apre sull’opera che Jannis Kounellis ha pensato e realizzato espressamente per il progetto. Tre grandi sacchi (fatti con il pvc telato dei camion) incombono sulla scena come corpi impiccati lasciando indovinare al loro interno le forme convulse di mobili e oggetti dismessi. La materia espressa nelle forme più arcaiche, ma con i materiali di scarto della cultura consumista, si fa metafora della condizione umana, intrisa di memoria come di dolore. Sette cantanti liriche, sette presenze umane in movimento tra le opere, interpretano attraverso la parola cantata il conflitto tra il caos della materia e l’ordine cui aspira l’uomo. Il tormento e la centralità del corpo dominano l’azione scenica nella sintesi visiva di un altro oggetto sospeso: un crocifisso capovolto, dove al posto del braccio corto è stata innestata una campana che rintocca alle oscillazioni prodotte casualmente da un animale legato alla struttura.
Nel quarto atto (14, 15, 16 aprile), le opere di Loris Cecchini aprono la possibilità per un lavoro sulla luce come principio scultore delle materia. L’installazione, fatta di materiali sintetici, trasparenti e capaci di creare una distorsione ottica, viene abitata da corpi reali, diversi e quasi estremi, come per rappresentare alcune delle categorie con cui di definisce la fisicità. I canoni di bellezza, magrezza, prestanza trovano la propria specificità nella compresenza con i loro opposti. I performer mettono inscena con lentezza una serie di azioni minimali, e il corpo, elemento scalare, concentra un senso di attesa quasi beckettiana che non trova compimento in nessuno scioglimento della tensione.
Nel quinto atto (18 maggio), dopo una serie di esplorazioni sul corpo si raggiunge la superficie, la pelle, l’abito. L’opera di Cristina Volpi mette in evidenza la percezione del corpo come sovrastruttura, come pelle altra: un abito da sposa in tessuto militare che descrive uno stato di conflitto permanente, una criticità dell’identità. La musica classica, nell’esecuzione dal vivo di tre musicisti tenta una ricostruzione di questa armonia interrotta e l’opera, che richiama anche la centralità del costume nel teatro, diviene il testo di un’azione fortemente poetica
“OA” è un progetto in cui Giancarlo Cauteruccio concretizza la concezione del luogo scenico come luogo centripeto, che attrae e metabolizza all’interno della propria architettura altre esperienze creative: in questo primo esperimento lo spazio del teatro si offre all’intenzione poetica, estetica, formale e concettuale di autori del panorama internazionale delle arti visive. La scena del Teatro si apre ai cinque artisti che porteranno il proprio segno con una loro opera installativa pensata o adattata per lo spazio teatrale, utilizzando il proprio personale linguaggio, i materiali e la sensibilità percettiva. L’opera visiva dell’artista così concepita (con il concorso di quella straordinaria macchina che è il luogo teatrale), diventa il punto di scaturigine di un originale percorso drammaturgico: l’opera stessa diviene scrittura sostituendosi alla tradizionale funzione del testo letterario e con la sua reale presenza e attraverso un approfondito confronto con l’artista si definisce la creazione dell’opera performativa. Non si tratta dunque di una scenografia d’artista, come spesso avviene nel teatro e in particolar modo in quello lirico, ma di un esperimento nuovo. L’opera diviene dinamica, attiva e generatrice di nuove inaspettate condizioni espressive che la dilatano e la amplificano attraverso il linguaggio del corpo, della luce, della musica. L’energia del lavoro, usualmente trattenuta nelle sue forme concluse, e diretta di volta in volta a un singolo osservatore, si trasforma per creare un rapporto dinamico con lo spazio attraverso l’azione teatrale-performativa, declinandosi al cospetto del pubblico in nuove inaspettate possibilità di relazione percettiva. Il canone dell’osservazione dell’opera viene inoltre alterato anche per ciò che riguarda la durata temporale dell’osservazione, espansa nell’intervallo di un’azione che contribuisce ad una nuova percezione dell’opera d’arte.

Teatro Studio
Via G. Donizetti, 58 Scandicci (FI)
Tel. 055 7591591
biglietteria@teatrostudiokrypton.it
www.teatrostudiokrypton.it
Biglietti: 12 euro intero, 10 euro ridotto

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